Le problematiche a livello podalico sono in assoluto fra le condizioni più frequenti che portano le mamme preoccupate a fare visitare i propri bambini. Tali problematiche possono essere molto differenti fra loro: un alterato appoggio plantare come nel piattismo, un’eccessiva caduta interna del retropiede, un’alterata deambulazione. E’ soprattutto il piede piatto dell’infanzia quello che si presenta più spesso all’osservazione clinica. Il piede di un bambino è normalmente piatto quando assume la stazione eretta ed inizia la deambulazione. Le ossa sono ancora in fase di formazione, è abbondante il tessuto adiposo, lassi i muscoli e i legamenti cosicché la struttura dell’arco plantare è incompleta. Si parla a tal proposito anche di piede piatto valgo-lasso funzionale. Gli stimoli esterni che progressivamente il bambino fornirà al piede con la crescita, prima gattonando, poi stando in piedi, camminando e correndo, contribuiranno in maniera determinante alla buona formazione dell’arco plantare, generalmente entro i 6-7 anni. Il piede piatto lasso dell’infanzia decorre asintomatico e si normalizza con la crescita nell’80% dei casi. Si rende evidente solamente sotto carico, mentre in scarico e in punta di piedi la sua morfologia appare del tutto normale. Il piede piatto essenziale dell’adolescenza non è altro che quel 20% di piedi che non hanno sviluppato l’elica plantare entro questo tempo. Anche questi, seppur tardivamente, sono comunque destinati a normalizzarsi e soltanto una piccola percentuale, compresa tra l’1 e il 5%, tende a restare piatto valgo anche in età adulta. In assenza di disturbi, il piede piatto valgo si configura quindi come una semplice variante anatomica o piede piatto funzionale, destinato a divenire in età adulta un piede piatto morfologico o flessibile e che solo raramente sfocia nel piede piatto contratto dell’adulto. Solo in presenza di disturbi funzionali o dolori, il cosiddetto piede piatto strutturato, il piattismo plantare sarà da considerarsi patologico e andrà interpretato come l’espressione morfologica di dismorfismi scheletrici. In questi casi l’eccessivo svolgimento dell’elica plantare rimane tale anche in scarico e il calcagno conserva in punta di piedi il suo assetto in pronazione. Il piede piatto congenito oltre all’abbassamento della volta longitudinale mediale si caratterizza per valgismo del meso-retropiede, rigidità delle articolazioni del tarso, dolore e contrattura dei muscoli estensori e pronatori del piede. L’affezione in questo caso può essere dovuta ad una sinostosi, ossia a una fusione di due ossa tarsali per mancata segmentazione del mesenchima embrionario che forma gli abbozzi cartilaginei delle ossa del tarso. Oltre all’indagine al podoscopio per valutare la possibilità di correzione o la rigidità del piattismo si fa ricorso a tre importanti test clinici: l’esame della volta plantare in scarico, la valutazione in punta di piedi e il test dell’alluce (raising toe test).
Esame posturale
Per effettuare il primo test, è sufficiente osservare la volta plantare a riposo. Se la volta plantare, che era assente o ridotta sotto carico, ricompare in scarico, il piede piatto viene definito correggibile o flessibile e la prognosi è favorevole. Per la valutazione sulle punte, invece, si fa sollevare il paziente sui talloni: nel piede piatto lasso correggibile si osserva una ricomparsa della volta plantare ed una correzione completa del valgismo del calcagno, che tende anzi ad atteggiarsi in varismo; nelle forme non correggibili o rigide il quadro resta sostanzialmente invariato. Il test dell’estensione dell’alluce si effettua flettendo dorsalmente l’alluce del paziente in posizione eretta (ma un risultato simile si osserva anche in scarico): nel piede piatto correggibile si osserverà un innalzamento della volta plantare ed una varizzazione del calcagno. Con il paziente sdraiato sul lettino si valuta inoltre il range articolare della tibio-tarsica, della sotto-astragalica e del mesopiede, facendo compiere movimenti di flesso-estensione e prono-supinazione. Una discriminante importante ai fini della prognosi è quella del dolore. Nel dettaglio, infatti, la sintomatologia, quando presente, è caratterizzata da dolore al piede che si estende fino al polpaccio quando il soggetto è in piedi o cammina, che è causa di una facile affaticabilità del soggetto e che si attenua o scompare con il riposo. Talvolta, ad esempio nelle forme accentuate o in soggetti sintomatici, per completare la diagnosi e decidere per un eventuale trattamento chirurgico è necessario un attento studio radiografico. La radiografia del piede è molto importante, sia per la misurazione del piattismo sia per la ricerca di eventuali malformazioni ossee, ma va per l’appunto limitata soltanto in presenza di una sintomatologia. ll trattamento deve tenere necessariamente conto dell’età del paziente, dell’eziologia e dell’evoluzione del disturbo. Si distingue in conservativo, ortesico e chirurgico: ricordando che il piede piatto rappresenta una tappa evolutiva dello sviluppo destinata a risolversi spontaneamente con la crescita nella stragrande maggioranza dei casi e che quindi gli interventi, specie quello chirurgico, debbano essere considerati come l’eccezione e non la regola e limitati a quei pochi casi in cui oltre alla deformazione vi siano anche dolore e limitazione funzionale. Il trattamento conservativo o preventivo si avvale di esercizi che vadano a determinare un rafforzamento delle strutture muscolari, specie della muscolatura cavizzante (peroneo lungo e breve, tibiale posteriore e flessori delle dita e dell’alluce), oltre alla stimolazione della funzione propriocettiva e di equilibrio del piede. Il piede piatto va considerato infatti come una malattia tipica del progresso e della civilizzazione, la diretta conseguenza del camminare continuamente su superfici piane e dure o con calzature strette e rigide. La funzione propria del piede quale organo sensoriale e “conoscitivo” è ancora più manifesta ed evidente nei neonati: basti osservare come essi tendano continuamente ad afferrare i loro piedi, a portarli alla bocca, a muoverli continuamente. Il piede è quindi uno strumento conoscitivo fondamentale fin dalle prime fasi di vita dell’uomo ma che tuttavia per le abitudini moderne, fra tutte quella dell’utilizzo di calzature, tende a perdere col tempo questa sua naturale funzione. È tuttavia necessario evitare che i bambini camminino scalzi dovunque. A differenza di quanto si credeva, è salutare camminare scalzi solo su superfici morbide, che si arrendono facilmente all’impronta del piedino. Infatti, superfici troppo rigide, come il pavimento di casa, ad esempio, non fanno altro che accentuare il piattismo.
Gli esercizi di rinforzo muscolare possono prevedere:
- Camminate sulle punte, sui talloni, sul margine esterno del piede e in successione con tallone-esterno-punta-saltello (rieducazione del cammino).
- Camminare a piedi nudi su superfici irregolari, come giardini o sabbia, evitando di “imprigionare” continuamente il piede del bambino all’interno della scarpa.
- Passare alternativamente e in maniera lenta dall’appoggio sui talloni a quello sulle punte dei piedi e viceversa
- Afferrare piccoli oggetti fra i piedi o con le dita e inserirli all’interno di un cerchio o passarli da un piede all’altro.
- Stropicciare un asciugamano a terra con le dita e la pianta del piede.
- Incoraggiare il bambino a muoversi quanto più possibile, saltare, correre, giocare rappresentano sempre la terapia più efficace e “sopportata” dal bambino, ricordando che l’obesità è un fattore che si correla sovente al piattismo.
Per lo sviluppo della funzione propriocettiva del piede di ausilio sono esercizi di equilibrio in appoggio monopodalico o bipodalico su tavolette o panche oscillanti, su tappetino morbido o strumenti per l’equilibrio quali il bosu. Per favorire lo sviluppo del piede in modo corretto bisogna puntare sull’attività fisica consigliando la pratica di sport che richiedono una grande sollecitazione motoria ma anche propriocettiva del piede come le arti marziali, la danza, la ginnastica artistica e l’atletica. Molto dibattuto è l’utilizzo di ortesi plantari: i sostegni rigidi con rialzo sotto l’arcata mediale del piede hanno dimostrato nel tempo la loro inefficacia, stimolando la muscolatura cavizzante del piede in maniera esclusivamente passiva, determinandone il cedimento non appena tolto il plantare. Oggi invece prevale il principio della torsione elicoidale, diffusosi per merito specialmente di Lelièvre, per il quale “il piede piatto si corregge ponendo il tallone in leggera supinazione e l’avampiede in pronazione”. Il plantare deve essere costruito quindi su misura e da trattare con i necessari rialzi e sostegni, utilizzando materiali differenti. Il plantare non dovrebbe essere mai prescritto prima del sesto anno di età e dopo quest’età solo nel caso di un piede piatto sintomatico, che ad esempio impedisca la normale attività sportiva o lo svolgersi di attività quotidiane. La monolateralità dell’affezione, la facile affaticabilità del bambino, il dolore localizzato al piede o irradiato alla gamba, qualificano invece il piattismo plantare come condizione sintomatica che può richiedere il plantare.
In conclusione ritengo che in un’alta percentuale di casi in cui il piede tende fisiologicamente alla normalizzazione, l’utilizzo del plantare sia pressoché inutile, specie se non accompagnato da una stimolazione attiva del piede, con gli esercizi precedentemente descritti e la pratica dello sport, a mio modesto parere ben più importante.