L’errore più comune nel parlare del “piede piatto” è quello di pensare ad un quadro patologico univoco e facilmente distinguibile e riconoscibile. Nella realtà clinica di piedi piatti ne esistono diversi e possono rientrare in uno spettro a genesi multifattoriale che va dal patologico alla normalità evolutiva, con una grande variabilità di espressione clinica e di intensità dei sintomi.
Basandosi sul quadro clinico, l’American College of Foot and Ankle Surgery (articolo) propone una classificazione diversa dividendo il piede piatto in:
– Flessibile “Flexible Flat Foot – F.F.F.”
In età evolutiva viene considerato fisiologico. più avanti può essere non trattato se rimane asintomatico. È caratterizzato da un normale arco in scarico con appiattimento della volta sotto carico.
– Flessibile con Retrazione del Tendine Achilleo “Flexible Flat Foot with Short Tendo AchillIes – F.F.F. + S.T.A.”
Non fisiologico e spesso sintomatico. Associa la retrazione del tendine achilleo al quadro precedente.
– Rigido Rigid Flat Foot – R.F.F.
Può essere sia sintomatico che asintomatico. La volta plantare si presenta appiattita sia in carico che in scarico.
Il piede piatto flessibile, viene spesso indicato come piede piatto valgo idiopatico, in ragione del suo potenziale evolutivo positivo.
La retrazione del tendine d’achille viene considerata un fattore di rischio qualora non permetta una flessione dorsale maggiore di 10°.
In alcuni casi, vista la particolare flessibilità dei bambini a questa età, anche una flessione dorsale pari a 10° viene considerata a rischio. Fondamentale comunque distinguere, in caso di morfologia in piattismo, quelle forme rigide o congenite che richiedono un trattamento più deciso fin dalle prime fasi.
Il piede piatto rigido viene detto anche statico, proprio per questo suo mantenere la conformazione sia in carico che fuori carico. Questa caratteristica è quella che sottende più facilmente all’origine di tipo costituzionale della deformità. Si associa normalmente alla presenza di sinostosi tarsali (fusioni anomale tra le ossa del tarso), astragalo verticale (piede a “dondolo”), problemi muscolari (retrazione del tendine d’Achille, insufficienza del tibiale posteriore).
La forma dinamica, che modifica l’altezza della volta dal carico al fuori carico è più facilmente derivata da lassità o concomitante a cattivi allineamenti assiali o torsionali degli arti inferiori come il ginocchio valgo.
Fatta questa premessa doverosa l’approccio al bambino con piede piatto deve essere basato riconducendoci soprattutto al concetto di reversibilità. Quando il piede piatto è un paramorfismo reversibile, la stragrande maggioranza dei casi, il trattamento rieducativo è l’approccio elettivo.
Questo concetto di reversibilità non è ancora probabilmente molto chiaro a certi operatori e professionisti, fin troppo affezionati alla chirurgia e a concetti ortopedici ormai datati come quello dell’utilizzo di scarpe e plantari correttivi (leggi anche Il piede cieco: l’utilizzo improprio dei plantari) Per renderlo più comprensibile è bene fornire una breve descrizione di alcuni semplici test che risultano indispensabili: l’esame della volta plantare in scarico, la valutazione in punta di piedi.
Per effettuare il primo test, è sufficiente osservare la volta plantare a riposo. Se la volta plantare, che era assente o ridotta sotto carico, ricompare in scarico, il piede piatto può essere definito come reversibile e la prognosi è favorevole.
Per la valutazione sulle punte si fa sollevare il paziente: nel piede piatto lasso si osserva una ricomparsa della volta plantare ed una correzione completa del valgismo del calcagno, che tende anzi ad atteggiarsi in varismo; nelle forme strutturate o rigide il quadro resta sostanzialmente invariato.
Piede piatto flessibile
Piede piatto rigido
L’utilizzo di un podoscopio permette di valutare l’appoggio del piede e quindi l’entità del piattismo. In condizioni normali la larghezza dell’istmo, ossia la zona del mesopiede che poggia sul bordo esterno e unisce il tallone posteriore a quello anteriore, dovrebbe essere pari a circa un terzo rispetto alla larghezza dell’avampiede.
Nel piede piatto la superficie dell’istmo aumenta fino a due terzi (piede piatto di 1°), può coprire tutta la pianta (piede piatto di 2°) o superare il bordo mediale sporgendo oltre la superficie della pianta (piede piatto di 3°).

Piede piatto di 1°

Piede piatto di 2° parzialmente maggiore a sinistra

Piede piatto di 3°
In generale il piede piatto non va inteso come il peggiore dei mali: molti adulti e perfino sportivi conducono una vita perfettamente normale, priva di sintomatologia, nonostante evidenzino all’appoggio un piattismo. Gli eccessi di correzione sono ben peggiori del difetto di forma. L’arco plantare si sviluppa quindi spontaneamente nella prima decade di vita ma solo se adeguatamente stimolato dai fattori ambientali (correre, saltare, giocare e fare sport in maniera costante), evitando il sovrappeso che è un fattore predisponente al piede piatto. L’esecuzione costante di esercizi specifici di rieducazione del cammino, tecniche di propriocettività e rinforzo dei muscoli flessori abbinata eventualmente all’utilizzo di plantari propriocettivi, permette spesso di ottenere risultati incoraggianti e sorprendenti (vedi casi clinici)
La maggior parte dei bambini e circa il 20% degli adulti mostra quindi un piede piatto, nella maggior parte dei casi flessibile ed asintomatico.
Nel complesso, il piede piatto si manifesta:
✓66% dei casi flessibile (F.F.F.)
✓25% dei casi come flessibile con retrazione dell’achilleo (F.F.F + S.T.A)
✓ 9% dei casi come rigido.
Quando si opera?
Il piede piatto rigido spesso mostra alterazioni scheletriche sottostanti che, qualora diventasse sintomatico, lo rendono eleggibile per il trattamento chirurgico. Il piede piatto flessibile raramente dovrebbe essere sottoposto a trattamento chirurgico, può essere giustificato laddove persista un’importante pronazione dell’articolazione sottoastragalica anche durante la fase propulsiva del passo con accentuato valgismo di cavglia ed in presenza di sintomi clinici o limitazione funzionale al movimento. Sicuramente l’eccezione e non la regola. Sarà compito dell’ortopedico-chirurgo scegliere la tipologia d’intervento più appropriata, attualmente sono molto utilizzati gli interventi di endortesi senotarsica (artrorisi astragalo-calcaneare) con cui si limita l’articolarità della sottoastragalica
tramite l’inserimento di un dispositivo che riallinea astragalo e calcagno comportandosi come un freno meccanico per l’articolazione, contrastando l’eccessiva pronazione e permettendo al piede di sviluppare i normali rapporti articolari durante l’accrescimento. L’endortesi senotarsica è una procedura che può essere eseguita all’incirca entro i 14 anni di età, ovvero fra il momento in cui le ossa prendono la loro conformazione definitiva, ma prima di arrivare al completamento della crescita scheletrica. Altre tipologie d’intervento sono il “calcaneo-stop” (artrorisi eso-senotarsica), interventi sull’osso (osteotomie) o interventi sulle parti molli (allungamento del Tendine d’Achille , ritensionamento del tendine Tibiale posteriore).
Dott. Fabio Marino
Bibliografia
Marino F., 2020, PodoPosturale – Valutazione e trattamento, NonSoloFitness editrice.
Corso ECM FAD
“Il piede del bambino – il piede piatto” Anatomia, biomeccanica ed opzioni di trattamento, Dr. Ft. Ivan Di Francescantonio